E’ per questo che lo faccio.
Per tenermi in equilibrio sull’unghia del piede,
il brivido dell’aver paura di ciò che non si vede.
Per tenerti per la gola con uno sguardo,
per vederti annaspare, non sentirti chiamarmi.
Per la lingua che si srotola e che spinge l’epiglottide,
per nascere e spalancare il becco,
le mie labbra che lo nutrono.
E’ per questo che lo faccio.
Per guardarti sorridendo mentre la mia testa risuona di note gitane,
per ridere unicamente sola,
immagino ciò che sei
al di fuori di ciò che non sai.
Lo faccio per questo.
Per chiamarmi di aggettivi, per sentirmi le ali leggere,
per impiastrarmi di nettare le narici,
sfaldarmi tra i fili traslucidi,
bruciarmi i colori sotto il sole,
e posarmi sotto le tavole dell’Uomo a riposare,
sazia dei loro insegnamenti,
ignara della morte di ciò che vi era sotto.