Occhi di sangue a furia di scriverti
falangi mangiate a furia di pensarti.
Ogni momento morto
vedevo il tuo riflesso sui denti smaltati
e la tua ombra negli angoli dei locali.
Stringendomi i pugni sulle cosce,
recitavo maledizioni affinchè sparissi.
Guardandomi attorno non c’erano che tue proiezioni
distorte, lontane, vicine, recenti.
Ogni volta che faceva male
mi coprivo con i capelli
e ti consumavo con cicli di pentimenti.
Ti ho trovato in un cappotto giallo,
lasciato lì da mio padre.
Ti ho mostrato a palmo aperto ai suoi occhi,
le iene che deridono il loro stesso banchetto,
anche lui si è morso le carni
ed è restato in silenzio.
Sono rimasta sul bordo ad aspettare,
occhi chiusi, la nausea e la bile
a scacciare i ricordi, a inghiottire acido,
a consumarmi le gengive.
Rimaneva l’alone,
un cerchio imperfetto sbafato di arancio,
ma ora, con mani di ferro
ti sollevo sopra le quercie,
più in alto dei nastri di luce
e ti lascio cadere.